In un mondo sempre più sconvolto dalla minaccia del radicalismo islamico, gli illustri relatori, hanno esaminato i fattori culturali, economici e sociali del fenomeno. Dopo la breve introduzione del professor Natalizia, che ci ha ricordato come già venti anni fa Samuel Huntington, nel suo famoso articolo comparso sul Foreign Affairs (The Clash of Civilizations?), affermava che i momenti unipolari nel sistema internazionale in realtà durino poco, perché ad ogni concentrazione di potere a livello globale, una nuova potenza cercherà di controbilanciare tale dominio opponendosi alla potenza egemone. La tesi di Huntington si contrapponeva a quella di Francis Fukuyama, quest’ultimo noto per aver considerato la fine della storia, in un mondo che si stava lentamente appiattendo verso valori occidentali, senza un’alternativa, con il dominio incontrastato degli Usa. Ma nuove forze “controbilancianti”, per Huntington sarebbero presto emerse, e se non a livello globale, per lo meno a livello regionale. Nuove forze con forme politiche influenzate dalla religione. Uno scontro di civiltà per l’appunto, con una forma “politicizzata” dell’islam, destinata a scontrarsi con l’altro modello, quello occidentale, basato sulla democrazia.
Il presidente della Link Campus University, Vincenzo Scotti, ha sottolineato come il problema sia stato la sopravvalutazione delle primavere arabe, che anziché essere la soluzione alle crisi dei regimi nei paesi del Grande Medio Oriente, sono diventate rapidamente fattore d’instabilità per l’intera regione con conseguenze che ancora oggi sono sotto gli occhi di tutti. L’errore di valutazione più grande dell’occidente, è stato pensare che dopo anni di regime, la situazione potesse tornare stabile nel giro di pochi mesi senza appoggio esterno, e che le elezioni democratiche potessero definitivamente risolvere le secolari contrapposizioni tra i vari gruppi di potere all’interno di ogni singolo Stato.
Il direttore italiano dell’ ISGAP (Institute for the study of global antisemitism and policy), Robert Hassan, fa notare come l’antisemitismo, storicamente, anticipi i tentativi di globalizzazione. Sviluppando il suo pensiero, Hassan, definisce l’insieme di complessità e conflitti una relazione tra due modalità: globalizzazione ed ecumene. Due scelte alternative, una sconfigge l’altra. La globalizzazione è scelta e ricerca di un comportamento uniforme. L’ecumene invece è la casa comune. Una casa che tuttavia è accessibile solo a coloro che si richiamano a determinati valori, dove si decide chi fare entrare e chi lasciare fuori. Ogni azione rivolta a risolvere un conflitto, comporta sempre una scelta tra globalizzazione ed ecumene. Nella globalizzazione, i conflitti vengono risolti uniformando le soluzioni da essa perseguite su tutto il globo, anche ricorrendo se necessario alla violenza. L’Islam radicale in particolare, è un nuovo tentativo di globalizzazione. Nell’ecumene invece, le soluzioni sono differenziate di volta in volta. L’ecumene è una scelta. La scelta con chi determinare una coalizione, per sconfiggere chi ha obbiettivi di globalizzazione. La globalizzazione dal punto di vista dell’informazione e della comunicazione, richiede una grande potenza tecnologica, l’ecumene invece richiede capacità di analisi. Per entrambi è indispensabile la conoscenza degli attori internazionali. Nell’ecumene i risultati sono incerti, variabili e temporanei. Per riassumere, la scelta di politiche nei sistemi complessi, possono essere scelte di compressione per ottenere un più ampio consenso, oppure scelte di coalizione, basate sulla qualità degli interessi che sono contrari alla visione globale. Quindi, l’obbiettivo della coalizione è a tempo, perché formata da diversi soggetti che hanno come unico nemico, chi cerca di imporre la propria visione globale.
Il professor Gianluca Ansalone, inizia il suo intervento interrogandosi sul perché l’occidente sia oggi più spaventato in un mondo che è paradossalmente più sicuro, longevo e prospero. A suo avviso, lo siamo perché mai prima d’ora c’era stata nella storia dell’umanità, una serie di cambiamenti nel sistema internazionale così importanti, concentrati in un arco di tempo relativamente breve.
Nel 2001 l’attacco alle Torri Gemelle, evento che smentisce palesemente la tesi di Fukuyama. Dopo quel drammatico evento, l’occidente ha recuperato, oltre alla dimensione storica, anche la dimensione geografica. Quella della fine della geografia si è rivelata una semplice illusione, che ci eravamo autoimposti dopo la fine della guerra fredda. In un secolo, il numero degli Stati è infatti raddoppiato. Nella seconda parte del suo intervento, il professor Ansalone ricorda come la geopolitica non sia diversa dalle altre discipline scientifiche. La geopolitica, non è una semplice interpretazione di fatti, ma ha anch’essa le sue regole fisse. La regola più importante da ricordare, è che in geopolitica i vuoti non esistono, e vengono sistematicamente riempiti da qualcuno o da qualcosa. Il vuoto che si è creato al confine tra Siria, Giordania e Iraq, ad esempio, è stato riempito temporaneamente dallo Stato Islamico. Il successo dell’Isis, è dovuto alla sciagurata condotta di una parte della leadership americana. Si pensi ad esempio a Paul Bremer, che George W. Bush nominò come Inviato Presidenziale in Iraq. Bremer, estromise immediatamente dalla scena politica del paese, il Baath (Partito Arabo Socialista) e con esso tutti gli uomini più influenti che vi appartenevano, lasciandoli di fatto fuori dalla gestione piramidale del potere, oltre che senza un lavoro. Oggi, molti di questi uomini militano nell’Isis e hanno ruoli influenti all’interno del Califfato. Il professor Ansalone, nella parte conclusiva del suo intervento, ha inoltre ricordato come il principale nemico dell’Isis siano gli sciiti. Subito dopo vengono i miscredenti cristiani. Non troviamo quindi, nella propaganda dello Stato Islamico, alcun riferimento nei confronti di Israele. Tutti i conflitti a cui oggi noi stiamo assistendo, possono essere interpretati come una guerra per procura tra le due grandi sensibilità dell’Islam, rappresentate dall’Iran (sciiti) e dall’Arabia Saudita (salafiti).
di Piero De Luca