Agli sportivi appassionati di Formula 1 negli ultimi anni sta
regalando più delusioni che gioie, ma per gli amanti dei motori su
strada il Cavallino rampante resta sempre il sogno più affascinante da
rincorrere?
Dopo due anni di dominio della classifica stilata dall’istituto
inglese Brand-Finance, la Ferrari si posiziona solo in nona posizione,
cedendo il passo al mattoncino Lego, che si gode il riconoscimento di
marchio più influente del mondo quasi come un’araba fenice. Dopo aver
sfiorato il fallimento infatti, la fabbrica danese di mattoncini di
plastica colorata con a capo J.V. Knudstorp, CEO 34enne, risale la china
grazie alla decisione di ritornare alle origini: la politica di
focalizzazione e recupero del core business della società e la
sponsorizzazione attraverso il recente film d’animazione 3D “Lego
Movie”, si sono dimostrate vincenti, anche nella riconquista della
riconoscibilità ed influenza del marchio.
La storia del brand Ferrari. Il Cavallino Rampante nero in
campo giallo, con in basso le lettere “SF” per Scuderia Ferrari, con tre
strisce, una verde, una bianca e una rossa, colori nazionali italiani,
in alto è il logo della Ferrari.
Simbolo di coraggio e temerarietà, era originariamente l’emblema
personale del Maggiore Francesco Baracca, che lo faceva dipingere sulle
fiancate dei suoi velivoli. Il 17 giugno 1923 – quando Enzo Ferrari
vinse la prima edizione del Gran premio del Circuito del Savio – la
contessa Paolina madre dell’aviatore, gli propose di utilizzare questo
simbolo sulle sue macchine, sostenendo che avrebbe portato fortuna. La
prima corsa nella quale l’Alfa permise a Ferrari di utilizzare il
cavallino sulle macchine della scuderia, la “24 ore di Spa” del 1932, fu
vinta. Da allora il matrimonio divenne indissolubile. Nel 1945 Ferrari
fece ridisegnare un nuovo cavallino rampante da Eligio Gerosa, uno tra i
più apprezzati incisori del secolo scorso. Nel progetto ampiamente
modificato rispetto al disegno originario, venne aggiunto lo sfondo
giallo, che rappresenta uno dei colori di Modena. Nel 1947 sempre Gerosa
disegnò il logo ufficiale della scuderia con un cavallino più snello,
riproporzionato nelle dimensioni e con lo zoccolo che sovrasta la
barretta allungata della “F”.
Da culto a culto. «Il Cavallino rampante su sfondo giallo è
immediatamente riconoscibile in tutto il mondo. Anche dove non ci sono
ancora strade. Resta un marchio molto influente ma il suo potere sta
diminuendo perché sono diversi anni che non vince un titolo di Formula
1, nonostante la crescita del valore del brand del 18% – spiega
Brand-Finance – La nuova strategia di capitalizzare sul brand farà
sicuramente salire il valore nel breve termine, ma un eccessivo
sfruttamento rischia di lasciare danni duraturi».
Con questa motivazione viene spiegato il perché della discesa nel
piazzamento in classifica della Ferrari. In una classifica in cui
contano parametri quantitativi, ma soprattutto parametri qualitativi
come la fiducia dei consumatori, la desiderabilità, la simpatia
suscitata, è Lego seguita da PWC e ironia della sorte proprio da Red
Bull, a sbaragliare la concorrenza di colossi multinazionali.
Concorrenza che invece subisce se si guarda al valore del marchio, dove è
il settore delle telecomunicazioni e dell’industria IT, a farla da
padrone: Apple si aggiudica il gradino più alto del podio di questa
graduatoria, seguita da Samsung, Google, Microsoft e Verizon.
Consumatore-sognatore? Nel cambiamento al vertice di questa
classifica, sembra però confermata una tendenza: le lunghe code per
acciuffare l’ultimo modello di IPhone o Samsung Galaxy, non sono
sufficienti per permettere ad Apple e Samsung di figurare nella top ten
dei marchi più forti. Segno che nonostante le evoluzioni high-tech e i
cambiamenti delle classifiche, per fortuna preferiamo ancora subire il
fascino di una Rossa o volare con la fantasia e sognare di costruire
nuovi mondi coi mattoncini colorati del falegname Ole Kirk Christiansen.
«Perché – come Enzo Ferrari insegna – sono i sogni a far vivere l’uomo».
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mercoledì 24 giugno 2015
Periscope: l’evoluzione del social
In principio fu IRC, poi vennero Skype, Myspace, Twitter, Facebook e,
infine, Periscope. Ormai da quel lontano 1988, lontano qualche anno in
termini temporali ma lontano ere dal punto di vista informatico, si sono
susseguiti miriadi di software, di cui quelli elencati sono solo le milestone
di questo cammino, capaci di soddisfare la naturale esigenza delle
persone di comunicare e condividere. Col tempo, però, questa esigenza si
è trasformata e, in molti casi, è diventata smania di protagonismo,
voglia di apparire, voglia di mostrarsi e mostrare quanto è interessante
la propria vita.
Questo è stato però il motore dell’evoluzione dei software che, da semplici scambiatori di messaggi, sono diventati veri e propri mezzi per conquistare la popolarità e l’ammirazione di tutti sfruttando le tante occasioni che si presentano quotidianamente.
«In the future everyone will be world-famous for 15 minutes», che, in italiano, vuol dire «in futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti». Probabilmente, oggi si è avverato quello che Andy Warhol aveva detto come provocazione ma che probabilmente non credeva che un giorno si realizzasse per davvero.
Periscope, ma anche Meerkat e, ultimamente, l’italiano Streamago Social, sono diventati il mezzo attraverso cui diventare famosi. Oggi, tutti possono prendere il proprio cellulare e proiettare ciò che gli capita intorno e sperare che venga visto non solo dai propri amici ma anche dal resto del mondo. Non è che sia una grande innovazione dal punto di vista tecnologico, anche prima c’erano software in grado di realizzare tutto ciò. La vera innovazione sta nella semplicità d’uso, nella possibilità di “streamare” in tempo reale, nessun vincolo tra il produttore ed il consumatore, controlli non sempre efficaci, la possibilità di interagire durante lo streaming. Ed allora, si moltiplicano i video di gatti che fanno cose strane, di persone che non hanno voglia di fare colazione da sole e mettono il cellulare sul tavolo per avere compagnia dagli utenti, o di professori che vengono ripresi durante la lezione a loro insaputa. Ma, a parte questi contenuti che possono sembrare banali o, a volte, surreali, ce ne sono altri che sono dei veri e propri esperimenti sociali, così come quello avvenuto ad Arezzo dove una persona ha trasmesso in streaming un’operazione chirurgica. Non mancano nemmeno le apparizioni della politica, per esempio, il discorso di Renzi al partito è stato trasmesso online, oppure il senatore americano Bernie Sanders ha annunciato la propria corsa per le presidenziali tramite Periscope.
Di fronte a questa ultima frontiera della condivisione, in cui tutti possono essere parte della vita di altri e interagire con essa, eliminando definitivamente i concetti di distanza spaziale e di conoscenza, corriamo però il rischio, talvolta inconsapevolmente, di superare certi limiti.
Alcune settimane orsono, il garante della privacy è stato interpellato da Telefono Azzurro per verificare se la privacy dei bambini è tutelata correttamente. In particolare, l’attenzione del garante è stata richiamata, a seguito di numerose segnalazioni, riguardo a streaming pubblicati su Periscope che riprendevano, a loro insaputa e quindi senza autorizzazione, bambini in luoghi come scuole, strade o parchi. Per tale motivo, Telefono Azzurro ha richiamato l’attenzione dell’ente per regolamentare l’utilizzo della nuova piattaforma di Twitter.
Un altro problema si è reso palese pochi giorni fa quando ha avuto luogo il cosiddetto “match del secolo” tra i due pugili Pacquiao e Mayweather. I diritti dell’incontro erano stati acquisiti dalla HBO e dalla Showtime per essere trasmesso sui loro rispettivi canali criptati. La stessa sera, l’incontro era contestualmente visibile, oltre che sui canali che detenevano i diritti, anche su decine di streaming sull’app di Twitter e in modalità gratuita. La stessa Twitter è dovuta intervenire forzando la chiusura di quanti più stream possibili. Tuttavia, al di là del singolo caso, nasce un grosso problema di violazione dei diritti e di un controllo quasi impossibile.
Il potenziale di questo nuovo strumento è evidente: dalla democrazia partecipativa allo sviluppo di nuove tecniche di social marketing, dal controllo del territorio distribuito alla diffusione della conoscenza. Tuttavia, tutto questo ha un prezzo che però non per forza deve essere pagato sull’altare della libertà.
In questo contesto è indispensabile che gli utenti prendano una maggiore consapevolezza dei nuovi servizi, comprendendo in primo luogo, le loro potenzialità lesive, soprattutto in termini di diritti personali, e quindi delle conseguenze a cui vanno incontro. Non di menò però, si deve ledere il diritto all’informazione, soprattutto in un paese che è pervaso da un diffuso malaffare. La sfida in questo periodo è trovare il giusto tradeoff tra i due diritti e conciliare le esigenze dei vari settori.
Questo è stato però il motore dell’evoluzione dei software che, da semplici scambiatori di messaggi, sono diventati veri e propri mezzi per conquistare la popolarità e l’ammirazione di tutti sfruttando le tante occasioni che si presentano quotidianamente.
«In the future everyone will be world-famous for 15 minutes», che, in italiano, vuol dire «in futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti». Probabilmente, oggi si è avverato quello che Andy Warhol aveva detto come provocazione ma che probabilmente non credeva che un giorno si realizzasse per davvero.
Periscope, ma anche Meerkat e, ultimamente, l’italiano Streamago Social, sono diventati il mezzo attraverso cui diventare famosi. Oggi, tutti possono prendere il proprio cellulare e proiettare ciò che gli capita intorno e sperare che venga visto non solo dai propri amici ma anche dal resto del mondo. Non è che sia una grande innovazione dal punto di vista tecnologico, anche prima c’erano software in grado di realizzare tutto ciò. La vera innovazione sta nella semplicità d’uso, nella possibilità di “streamare” in tempo reale, nessun vincolo tra il produttore ed il consumatore, controlli non sempre efficaci, la possibilità di interagire durante lo streaming. Ed allora, si moltiplicano i video di gatti che fanno cose strane, di persone che non hanno voglia di fare colazione da sole e mettono il cellulare sul tavolo per avere compagnia dagli utenti, o di professori che vengono ripresi durante la lezione a loro insaputa. Ma, a parte questi contenuti che possono sembrare banali o, a volte, surreali, ce ne sono altri che sono dei veri e propri esperimenti sociali, così come quello avvenuto ad Arezzo dove una persona ha trasmesso in streaming un’operazione chirurgica. Non mancano nemmeno le apparizioni della politica, per esempio, il discorso di Renzi al partito è stato trasmesso online, oppure il senatore americano Bernie Sanders ha annunciato la propria corsa per le presidenziali tramite Periscope.
Di fronte a questa ultima frontiera della condivisione, in cui tutti possono essere parte della vita di altri e interagire con essa, eliminando definitivamente i concetti di distanza spaziale e di conoscenza, corriamo però il rischio, talvolta inconsapevolmente, di superare certi limiti.
Alcune settimane orsono, il garante della privacy è stato interpellato da Telefono Azzurro per verificare se la privacy dei bambini è tutelata correttamente. In particolare, l’attenzione del garante è stata richiamata, a seguito di numerose segnalazioni, riguardo a streaming pubblicati su Periscope che riprendevano, a loro insaputa e quindi senza autorizzazione, bambini in luoghi come scuole, strade o parchi. Per tale motivo, Telefono Azzurro ha richiamato l’attenzione dell’ente per regolamentare l’utilizzo della nuova piattaforma di Twitter.
Un altro problema si è reso palese pochi giorni fa quando ha avuto luogo il cosiddetto “match del secolo” tra i due pugili Pacquiao e Mayweather. I diritti dell’incontro erano stati acquisiti dalla HBO e dalla Showtime per essere trasmesso sui loro rispettivi canali criptati. La stessa sera, l’incontro era contestualmente visibile, oltre che sui canali che detenevano i diritti, anche su decine di streaming sull’app di Twitter e in modalità gratuita. La stessa Twitter è dovuta intervenire forzando la chiusura di quanti più stream possibili. Tuttavia, al di là del singolo caso, nasce un grosso problema di violazione dei diritti e di un controllo quasi impossibile.
Il potenziale di questo nuovo strumento è evidente: dalla democrazia partecipativa allo sviluppo di nuove tecniche di social marketing, dal controllo del territorio distribuito alla diffusione della conoscenza. Tuttavia, tutto questo ha un prezzo che però non per forza deve essere pagato sull’altare della libertà.
In questo contesto è indispensabile che gli utenti prendano una maggiore consapevolezza dei nuovi servizi, comprendendo in primo luogo, le loro potenzialità lesive, soprattutto in termini di diritti personali, e quindi delle conseguenze a cui vanno incontro. Non di menò però, si deve ledere il diritto all’informazione, soprattutto in un paese che è pervaso da un diffuso malaffare. La sfida in questo periodo è trovare il giusto tradeoff tra i due diritti e conciliare le esigenze dei vari settori.
di Luca Paolino
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