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giovedì 26 febbraio 2015

L’Italia, la Libia e la percezione dell’ISIS

L’Italia e la Libia: un dibattito aperto è il titolo della conferenza organizzata dalla Link Campus University sulla crisi libica e la sua percezione da parte italiana, che, al tempo stesso, contiene anche l’obiettivo degli organizzatori. Sul tema sono intervenuti Vincenzo Scotti, Antonello Folco Biagini, Carlo Jean, Alberto Negri, Maurizio Melani, Alessandro Merola, Pasquale Salzano Maurizio Zandri ed Elisabetta Trenta, che hanno offerto il loro contributo all’opera di alimentare il dibattito sugli interessi italiani messi in gioco in Libia.
L’idea di “interesse nazionale” ha storicamente trovato pochi spazi sia a livello mediatico che politico, risultando tuttora un concetto difficilmente “digeribile” per l’opinione pubblica. La prossimità di una guerra civile e l’avanzata delle truppe dell’Isis a 400 km dalle nostre coste, tuttavia, ha sostanzialmente imposto il tema al vertice dell’agenda politica, attirando progressivamente l’attenzione generale. Il precipitare della situazione in Libia, d’altronde, non mette a repentaglio “solo” la nostra sicurezza energetica (cosa succederebbe se l’Isis mettesse le mani sul gasdotto Greenstream o se questo fosse danneggiato nei combattimenti?) o la sicurezza dei nostri confini (a quale flusso migratorio sarebbero esposte le nostre coste?).
A repentaglio è la sicurezza stessa del nostro territorio, che risulta sempre più esposto al pericolo di attentati (ormai nelle dichiarazioni dell’Isis la retorica islamista contro l’Italia e il suo governo è all’ordine del giorno), e quella dei cittadini italiani all’estero, che potrebbero diventare obiettivi sensibili per azioni terroristiche. Il governo italiano deve necessariamente agire per salvaguardare l’interesse comune, sensibilizzando i suoi partner tradizionali (anzitutto gli Stati Uniti, in secondo luogo la Francia e la Gran Bretagna), incentivando la sintonia tra attori esterni con interessi contrastanti nell’area ma uniti dalla comune minaccia dell’Isis (Egitto e Turchia) e, infine, attivando quegli Stati che nutrono una grande influenza su alcuni dei Paesi arabi (Russia). L’attività diplomatica in corso ha l’obiettivo di scongiurare l’ipotesi che nel medio periodo l’Italia debba trovarsi di fronte a scegliere tra opzioni ben più difficili. A tal fine è necessario un sistema-Paese consapevole dei propri interessi e dei mezzi necessari per perseguirli. Nella consapevolezza che l’Italia può anche dimostrarsi disinteressata alla guerra, ma non è detto che un giorno la guerra non decida di interessarsi dell’Italia.

L’Osservatorio Generazione Proteo ha svolto un’indagine sulle paure dei giovani italiani degli attacchi terroristici. 
Il 63% dei giovani italiani è consapevole del rischio di attacchi terroristici da parte dell’ISIS. Inoltre, guerra e Isis sono al centro delle paure dei ragazzi, prima ancora di criminalità organizzata (12,5%) e calamità naturali (11,3%). E la soluzione dell’azione militare contro l’Isis (44,4%) vince rispetto a chi si dichiara indeciso (25,8%) o contrario (22,8%). Lo rende noto l’Osservatorio Generazione Proteo’ della Link Campus University con un’anticipazione dei nuovi dati raccolti nell’ultimo mese su un campione rappresentativo di circa 7.000 ragazzi iscritti agli ultimi 3 anni delle scuole superiori, distribuito sull’intero territorio nazionale.
Per Nicola Ferrigni, sociologo e direttore dell’Osservatorio Generazione Proteo dell’Università: “I giovani sono più impauriti da una minaccia “esterna” che “interna” al nostro Paese. Molto indicativa è inoltre – secondo Ferrigni – quell’ampia fascia di ragazzi che manifesta un sentimento di totale rassegnazione e che non intravede alcun tipo di soluzione alle minacce terroristiche dell’Isis”. Di fronte alla scelta più opportuna da adottare per scongiurare la minaccia terroristica, infatti, rimane alta la quota di chi pensa che non si possa ‘fare nulla’ (18,1% complessivo) mentre le risposte del campione contrastano tra maschi e femmine: i primi in favore di un’‘invasione’ (51,5%), le seconde verso una soluzione diplomatica (48,2%). ‘Identificazione estrema nella religione islamica’ (25,4%); ‘ribellione alla cultura occidentale’ (22,8%); ‘ricerca di un senso alla propria esistenza’ (14,5%); e ‘ingaggio economico’ (9,8%) sono invece – secondo i giovani intervistati – le motivazioni principali che spingono i ragazzi occidentali, i foreign fighters, ad arruolarsi nell’Isis.
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