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lunedì 21 dicembre 2015

Infrastrutture, esperienze e competenze per i “docenti digitali”

Parlare di scuola nell’attuale panorama ipertecnologico e multimediale impone alcune riflessioni critiche, come ad esempio quella rispetto al tipo di scuola e di classe che vogliamo/dobbiamo immaginare nell’era globale. L’etichetta “classe” si basa su un principio di selezione finalizzato a creare classi omogene, in un tempo in cui la scuola operava alla formazione delle élite del paese; mentre oggi le nostre aule sono popolate da gruppi di apprendimento (persone) profondamente variegate tra loro sia in termini di bisogni, sia in termini di background e attese rispetto al processo educativo. In tal senso, la scuola ha largamente contribuito nel corso della modernità al processo di omogeneizzazione e appartenenza dello stato nazione. E’ evidente, però, che attualmente, quel modello di  scuola, all’interno di processi globali, multiculturali, eterogenei, diversificati ecc. non risponde più alle sfide culturali della nostra società. Continuiamo a denominare scuola un dispositivo sociale che è chiamato oggi a rispondere a necessità completamente diverse da quelle per cui era nato. Il rischio connesso a uno strabismo concettuale che impedisce una valutazione critica della situazione attuale è quello di difendere l’apparato scuola, tralasciando i destinatari di questo istituto, ignorando il tema e i risultati dell’apprendimento. Questo accade ad esempio quando ci confrontiamo con il tema dell’incorporazione delle Information Tecnhology Communication (ICT) nella didattica in quanto esse contribuiscono a modificare radicalmente il setting della realzione educativa e i processi di apprendimento come si cercherà di evidenziare in questo breve contributo.
Il 27 ottobre 2015 il MIUR ha pubblicato il nuovo piano digitale per la scuola con l’intento di proseguire sulla via dell’ammodernamento già introdotto con il Piano Scuola Digitale varato nel 2008. In quella prima fase, il Ministero si era concentrato prevalentemente sull’adeguamento dotazionale delle istituzioni educative, mediante quattro linee di azione tra loro complementari volte a introdurre Lavagne Interattive e Multimediali in classe; attrezzare aule multimediali, le cosiddette Aule 2.0; adeguare l’infrastruttura digitale di quella che viene denominata Scuola 2.0 e promuovere l’Editoria digitale. L’anagrafe delle tecnologie presenti nel sistema scolastico italiano, curata dal MIUR, consente di ricostruire lo stato di dotazione informatica delle nostre scuole[i] ma nulla dice sul reale utilizzo di tali dotazioni, né tantomeno sulle competenze agite dai docenti nell’utilizzo dei nuovi supporti multimediali. Ma come indicato dall’OCSE[ii], anche a fronte di questo investimento, l’Italia segna ancora un ritardo significativo rispetto alla maggior parte degli altri paesi occidentali. Gli sforzi sembrano sottodimensionati rispetto al ritardo strutturale che caratterizza la “dotazione di tecnologie digitali” nelle scuole italiane, dove lavagne interattive coprono solo il 16% delle classi. La principale valutazione critica è stata identificata dall’OCSE e riguarda la distribuzione limitata, la penetrazione e l’integrazione delle TIC nelle scuole e nelle pratiche didattiche ordinarie, che si traduce nella mancanza di risorse didattiche digitali a disposizione degli insegnanti; l’assenza di una fonte comune aperta, in grado di garantire la loro diffusione e la qualità; l’assenza di una piattaforma virtuale per lo scambio di beni digitali per l’utilizzo da parte degli insegnanti delle scuole di tutti i livelli; la mancanza di supporto per la formazione degli insegnanti e dei servizi, e la mancanza di sistemi di ricompensa e valutazione legata alla valutazione delle prestazioni. Questo stato di cose, come dimostra lo stesso rapporto, rende difficile da usare, in modo sistematico, l’integrazione di risorse digitali nelle pratiche didattiche ordinarie, ponendo le basi per la creazione di un crescente divario con gli altri paesi che hanno intrapreso con convinzione una politica di digitalizzazione dei sistemi di istruzione.
E’ evidente, quindi, che al nostro paese si chiede oggi uno sforzo di riflessività ulteriore, finalizzato a chiarire la “politica digitale che le istituzioni educative, ai diversi livelli, debano perseguire. In questo senso qualche spunto viene fornito dal nuovo Piano Digitale che introduce alcuni nuovi elementi che contribuiscono a spostare l’attenzione dagli aspetti meramente dotazionali, al loro utilizzo. Scorrendo il documento si può notare che, per la prima volta, si introducono nuovi elementi di riflessione che vanno dalla progettazione dello spazio virtuale e degli strumenti utilizzati e utilizzabili, alla definizione di una identità digitale per docenti e studenti, a cui si accompagna un ulteriore investimento in termini di digitalizzazione (dematerializzazione, registro elettronico, open dati); la definizione di un framework condiviso per identificare le competenze digitali (coe già accade all’estero) e l’introduzione di nuove possibilità di applicazione (Ricerca, Pensiero computazionale, Imprenditoria digitale, Animatore digitale, Accordi territoriali, Stakeholders club scuola digitale ecc.). E’ evidente dunque che ci troviamo in un momento in cui l’attenzione alla questione digitale è molto diffusa. Ma nessuna seria azione di promozione di una cultura digitale responsabile può avvenire senza una chiara conoscenza delle pratiche e delle competenze diffuse a scuola.
Per poter accompagnare processo di cambiamento, che ormai si ritiene ineludibile e non più riviabile, è necessario comprendere come cambiano le pratiche organizzative e professionali dei docenti nel confronto con le nuove tecnologie.
Come si può delineare il quadro delle competenze emergenti di quelli che possiamo definire “docenti digitali”.
L’etichetta docenti digitali è qui utiizzata più che per identificare uno status specifico, lo scenario in cui si muove l’intervento educativo dei nuovi “sacerdoti della conoscenza” (come li definiva Durkheim) nel XXI secolo. Scenario caratterizzato da un sistema educativo sempre più “retecentrico”; popolato da un target di studenti genericamente definito “nativi digitali”; da un quadro di conoscenze instabile, frammentato e disperso, impossibile da ricondurre al sapere chiuso e definito di natura enciclopedica di cui il “sacerdote della conoscenza”, per centinaia di anni, è stato unico portatore e garante; da un sistema di trasmissione composito che può avvalersi di una grande quantità di supporti digitali che interagiscono direttamente con il processo di costruzione della conoscenza, ecc.. Per provare a definire il quadro di competenze chiave necessario, può essere utile identificare il processo incrementale attraverso cui le tecnologie possono essere incluse nella pratica didattica. Puentedura elabora il modello SAMR che identifica quattro fasi di complessità crescente attraverso cui si costruisce il processo di costruzione della conoscenza mediante l’integrazione progressiva delle nuove tecnologie nella didattica. La prima fase è quella della sostituzione caratterizzata dall’esplorazione delle funzionalità delle ICT in affiancamento ai soli mezzi classici. Questa fase di scoperta è funzionale a sostenere il processo di brainstorming, utile a stimolare il pensiero creativo, laterale, divergente e ad accampagnare i ragazzi ad esplorare possibili collegamenti, a formulare nuove ipotesi e domande di ricerca. In questa fase al docente è richiesto in primo luogo di operare come un coach in grado di attivare le risorse latenti e le potenzialità inespresse dei suoi studenti, sostenendo la loro motivazione e la loro partecipazione; favorendo un processo di team building, offrendo sostegno e direzione nella costruzione del percorso di conoscenza da avviare. La seconda fase è quella dell’ampliamento in cui, mediante la varietà di supporti offerti della ICT si allargano le basi/opportunità di conoscenza degli studenti, attraverso l’utilizzo consapevole di motori di ricerca, risorse educative aperte, documenti e fonti ufficiali, riviste specializzate, banche dati ecc.. In questa fase ci si orienta verso l’analisi del tema/problema prescelto e si deve guidare il gruppo alla ricerca e alla selezione di fonti, all’analisi e alla schedatura del tema indagato, a sviluppare approfondimenti significativi. Al docente è richiesto di operare come un facilitatore di processo, di continuare a garantire un adeguato supporto motivazionale, di orientare e presidiare il processo in termini di resourses management, gestione dei gruppi, dei flussi e dei carichi di lavoro. La terza fase è quella della sperimentazione in cui ci si cimenta con l’elaborazione di nuovi contenuti e materiali, e/o con prodotti della conoscenza rielaborati, anche in maniera collaborativa, direttamente dai ragazzi. In questa fase, si deve guidare gli studenti verso l’organizzazione logica e coerente del loro sapere, sostenere un processo argomentativo solido, attraverso la verifica delle ipotesi e delle domande di ricerca che hanno orientato il lavoro. Sarà importante in questa fase per il docente mantenere un orientamento al compito e agli obiettivi, esercitare un’attenta gestione del tempo e delle risorse, attivare azioni di monitoraggio e di valutazione in itinere, non solo degli apprendimenti, ma soprattutto rispetto al processo e al sistema, ai fini di un’adeguata riprogettazione dell’attività didattica. L’ultima fase sarà quella dell’elaborazione di nuovi strumenti, progetti e prodotti della conoscenza, e della scelta delle tecnologie multimediali più adeguate all’obiettivo/target di conoscenza individuati, perché ogni supporto ha un suo codice comunicativo precipuo e distintivo. Quest’ultima fase, si caratterizza per la riflessione critica dell’esperienza e del sapere acquisito, e per la sua sistematizzazione entro più ampi sistemi di conoscenza. Al docente è così richiesto di guidare un processo di meta-valutazione, valorizzazione, diffusione e condivisione dei risultati raggiunti, per aiutare gli studenti a riconoscere (e ad appropriarsene) i progressi raggiunti. Una situazione di questo tipo implica un’alterazione radicale del tradizionale setting didattico che richiede un nuovo patto educativo tra scuola, società, famiglie e studenti. Si assiste a una destrutturazione della relazione educativa che modifica radicalmente la relazione di potere docente-studente, all’interno di una classe che appare sempre più “liquida” poiché perde i consueti confini spazio-temporali.
Da quanto emerge, ad ogni fase corrisponde uno stile educativo diverso, che potremmo definire “situazionale”, capace cioè di agire competenze differenti, in ordine al precipuo obiettivo di apprendimento che ci si trova a governare mediante l’ausilio delle nuove tecnologie: motivazionale nella fase di avvio; direttivo nella fase di indagine, supportivo nella fase di sperimentazione e restitutivo nella fase di sistematizzazione. Per introdurre le nuove tecnologie nella didattica dunque non è sufficiente potenziare l’infrastruttura dotazionale o concentrarsi esclusivamente sulle competenze digitali dei docenti ma bisogna sostenere ancor di più lo spettro di competenze emergenti che si articolano in tre differenti macroree: quelle socio-emozionali (comunicazione interpersonale, leadership educativa, problem solving, problem setting, gestione dei conflitti, decision making, intelligenza emotiva); quelle comunicative (media literacy, digital literacy, media competence, communicative competences) e quelle metodologiche (di analisi, di gestione di processi complessi, progettuali e valutative). L’innovazione digitale a scuola non è solo una questione di dotazione tecnologica ma si esprime prima di tutto mediante un progetto politico e culturale che sia capace di esprimere quale modello di scuola, e quale profilo professionale, sia adeguato a rispondere alle sfide della scuole nel XXI secolo. Per costruire un’idea di scuola adeguata ai tempi è necessario conoscere lo stato dell’arte attraverso la ricostruzione di usi, fabbisogni di formazione e pratiche agite nei contesti reali. È la metodologia che trasforma il contenuto e le sue applicazioni, è l’uso sociale attraverso cui le tecnologie vengono ‘naturalizzate’ e incorporate nelle nostre routines professionali e organizzative a determinare processi di innovazione e cambiamento. Ed è a questo bisogno di comprensione e innovazione che vuole rispondere la ricerca-intervento[iii] condotta in convenzione tra l’Università degli Studi Link Campus University e l’Associazione Nazionale Presidi (ANP), finalizzata a rilevare pratiche, usi e competenze digitali diffuse nelle istituzioni scolastiche sia per fornire una visione di sistema utile alla definizione di ogni intervento di policy in campo educativo, sia per offrire al management delle istituzioni educative un quadro di conoscenza utile a definire azioni di micropolitica di istituto, perché le tecnologie trasformano le nostre aule solo in funzione di come sappiamo usarle.
di Stefania Capogna
docente di
Sociologia della comunicazione
Comunicazione pubblica e d’impresa

[i] Capogna, S. (2014/b). Scuola, Università, E-learning. Una lettura sociologica. Roma: Armando.
[ii] OCSE (2013). Review of the Italian Strategy for Digital Schools.OECD.
[iii] Tutti i docenti di scuola di ogni ordine e grado possono partecipare alla ricerca collegandosi al seguente link: https://it.surveymonkey.com/r/ricerca-competenze-digitali

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