Parlare
di scuola nell’attuale panorama ipertecnologico e multimediale impone
alcune riflessioni critiche, come ad esempio quella rispetto al tipo di
scuola e di classe che vogliamo/dobbiamo immaginare nell’era globale.
L’etichetta “classe” si basa su un principio di selezione finalizzato a
creare classi omogene, in un tempo in cui la scuola operava alla
formazione delle élite del paese; mentre oggi le nostre aule sono
popolate da gruppi di apprendimento (persone) profondamente variegate
tra loro sia in termini di bisogni, sia in termini di background e
attese rispetto al processo educativo. In tal senso, la scuola ha
largamente contribuito nel corso della modernità al processo di
omogeneizzazione e appartenenza dello stato nazione. E’ evidente, però,
che attualmente, quel modello di scuola, all’interno di processi
globali, multiculturali, eterogenei, diversificati ecc. non risponde più
alle sfide culturali della nostra società. Continuiamo a denominare
scuola un dispositivo sociale che è chiamato oggi a rispondere a
necessità completamente diverse da quelle per cui era nato. Il rischio
connesso a uno strabismo concettuale che impedisce una valutazione
critica della situazione attuale è quello di difendere l’apparato
scuola, tralasciando i destinatari di questo istituto, ignorando il tema
e i risultati dell’apprendimento. Questo accade ad esempio quando ci
confrontiamo con il tema dell’incorporazione delle Information Tecnhology Communication
(ICT) nella didattica in quanto esse contribuiscono a modificare
radicalmente il setting della realzione educativa e i processi di
apprendimento come si cercherà di evidenziare in questo breve
contributo.
Il 27 ottobre 2015 il MIUR ha pubblicato
il nuovo piano digitale per la scuola con l’intento di proseguire sulla
via dell’ammodernamento già introdotto con il Piano Scuola Digitale
varato nel 2008. In quella prima fase, il Ministero si era concentrato
prevalentemente sull’adeguamento dotazionale delle istituzioni
educative, mediante quattro linee di azione tra loro complementari volte
a introdurre Lavagne Interattive e Multimediali in classe; attrezzare
aule multimediali, le cosiddette Aule 2.0; adeguare l’infrastruttura
digitale di quella che viene denominata Scuola 2.0 e promuovere
l’Editoria digitale. L’anagrafe delle tecnologie presenti nel sistema
scolastico italiano, curata dal MIUR, consente di ricostruire lo stato
di dotazione informatica delle nostre scuole[i]
ma nulla dice sul reale utilizzo di tali dotazioni, né tantomeno sulle
competenze agite dai docenti nell’utilizzo dei nuovi supporti
multimediali. Ma come indicato dall’OCSE[ii],
anche a fronte di questo investimento, l’Italia segna ancora un ritardo
significativo rispetto alla maggior parte degli altri paesi
occidentali. Gli sforzi sembrano sottodimensionati rispetto al ritardo
strutturale che caratterizza la “dotazione di tecnologie digitali” nelle
scuole italiane, dove lavagne interattive coprono solo il 16% delle
classi. La principale valutazione critica è stata identificata dall’OCSE
e riguarda la distribuzione limitata, la penetrazione e l’integrazione
delle TIC nelle scuole e nelle pratiche didattiche ordinarie, che si
traduce nella mancanza di risorse didattiche digitali a disposizione
degli insegnanti; l’assenza di una fonte comune aperta, in grado di
garantire la loro diffusione e la qualità; l’assenza di una piattaforma
virtuale per lo scambio di beni digitali per l’utilizzo da parte degli
insegnanti delle scuole di tutti i livelli; la mancanza di supporto per
la formazione degli insegnanti e dei servizi, e la mancanza di sistemi
di ricompensa e valutazione legata alla valutazione delle prestazioni.
Questo stato di cose, come dimostra lo stesso rapporto, rende difficile
da usare, in modo sistematico, l’integrazione di risorse digitali nelle
pratiche didattiche ordinarie, ponendo le basi per la creazione di un
crescente divario con gli altri paesi che hanno intrapreso con
convinzione una politica di digitalizzazione dei sistemi di istruzione.
E’ evidente, quindi, che al nostro paese
si chiede oggi uno sforzo di riflessività ulteriore, finalizzato a
chiarire la “politica digitale che le istituzioni educative, ai diversi
livelli, debano perseguire. In questo senso qualche spunto viene fornito
dal nuovo Piano Digitale che introduce alcuni nuovi elementi che
contribuiscono a spostare l’attenzione dagli aspetti meramente
dotazionali, al loro utilizzo. Scorrendo il documento si può notare che,
per la prima volta, si introducono nuovi elementi di riflessione che
vanno dalla progettazione dello spazio virtuale e degli strumenti
utilizzati e utilizzabili, alla definizione di una identità digitale per
docenti e studenti, a cui si accompagna un ulteriore investimento in
termini di digitalizzazione (dematerializzazione, registro elettronico,
open dati); la definizione di un framework condiviso per identificare le
competenze digitali (coe già accade all’estero) e l’introduzione di
nuove possibilità di applicazione (Ricerca, Pensiero computazionale,
Imprenditoria digitale, Animatore digitale, Accordi territoriali,
Stakeholders club scuola digitale ecc.). E’ evidente dunque che ci
troviamo in un momento in cui l’attenzione alla questione digitale è
molto diffusa. Ma nessuna seria azione di promozione di una cultura
digitale responsabile può avvenire senza una chiara conoscenza delle
pratiche e delle competenze diffuse a scuola.
Per poter accompagnare processo di
cambiamento, che ormai si ritiene ineludibile e non più riviabile, è
necessario comprendere come cambiano le pratiche organizzative e
professionali dei docenti nel confronto con le nuove tecnologie.
Come si può delineare il quadro delle competenze emergenti di quelli che possiamo definire “docenti digitali”.
L’etichetta docenti digitali è qui
utiizzata più che per identificare uno status specifico, lo scenario in
cui si muove l’intervento educativo dei nuovi “sacerdoti della
conoscenza” (come li definiva Durkheim) nel XXI secolo. Scenario
caratterizzato da un sistema educativo sempre più “retecentrico”;
popolato da un target di studenti genericamente definito “nativi
digitali”; da un quadro di conoscenze instabile, frammentato e disperso,
impossibile da ricondurre al sapere chiuso e definito di natura
enciclopedica di cui il “sacerdote della conoscenza”, per centinaia di
anni, è stato unico portatore e garante; da un sistema di trasmissione
composito che può avvalersi di una grande quantità di supporti digitali
che interagiscono direttamente con il processo di costruzione della
conoscenza, ecc.. Per provare a definire il quadro di competenze chiave
necessario, può essere utile identificare il processo incrementale
attraverso cui le tecnologie possono essere incluse nella pratica
didattica. Puentedura elabora il modello SAMR che identifica
quattro fasi di complessità crescente attraverso cui si costruisce il
processo di costruzione della conoscenza mediante l’integrazione
progressiva delle nuove tecnologie nella didattica. La prima fase è
quella della sostituzione caratterizzata dall’esplorazione
delle funzionalità delle ICT in affiancamento ai soli mezzi classici.
Questa fase di scoperta è funzionale a sostenere il processo di
brainstorming, utile a stimolare il pensiero creativo, laterale,
divergente e ad accampagnare i ragazzi ad esplorare possibili
collegamenti, a formulare nuove ipotesi e domande di ricerca. In questa
fase al docente è richiesto in primo luogo di operare come un coach in
grado di attivare le risorse latenti e le potenzialità inespresse dei
suoi studenti, sostenendo la loro motivazione e la loro partecipazione;
favorendo un processo di team building, offrendo sostegno e direzione
nella costruzione del percorso di conoscenza da avviare. La seconda fase
è quella dell’ampliamento in cui, mediante la varietà di
supporti offerti della ICT si allargano le basi/opportunità di
conoscenza degli studenti, attraverso l’utilizzo consapevole di motori
di ricerca, risorse educative aperte, documenti e fonti ufficiali,
riviste specializzate, banche dati ecc.. In questa fase ci si orienta
verso l’analisi del tema/problema prescelto e si deve guidare il gruppo
alla ricerca e alla selezione di fonti, all’analisi e alla schedatura
del tema indagato, a sviluppare approfondimenti significativi. Al
docente è richiesto di operare come un facilitatore di processo, di
continuare a garantire un adeguato supporto motivazionale, di orientare e
presidiare il processo in termini di resourses management, gestione dei
gruppi, dei flussi e dei carichi di lavoro. La terza fase è quella
della sperimentazione in cui ci si cimenta con l’elaborazione di nuovi
contenuti e materiali, e/o con prodotti della conoscenza rielaborati,
anche in maniera collaborativa, direttamente dai ragazzi. In questa
fase, si deve guidare gli studenti verso l’organizzazione logica e
coerente del loro sapere, sostenere un processo argomentativo solido,
attraverso la verifica delle ipotesi e delle domande di ricerca che
hanno orientato il lavoro. Sarà importante in questa fase per il docente
mantenere un orientamento al compito e agli obiettivi, esercitare
un’attenta gestione del tempo e delle risorse, attivare azioni di
monitoraggio e di valutazione in itinere, non solo degli apprendimenti,
ma soprattutto rispetto al processo e al sistema, ai fini di un’adeguata
riprogettazione dell’attività didattica. L’ultima fase sarà quella
dell’elaborazione di nuovi strumenti, progetti e prodotti della
conoscenza, e della scelta delle tecnologie multimediali più adeguate
all’obiettivo/target di conoscenza individuati, perché ogni supporto ha
un suo codice comunicativo precipuo e distintivo. Quest’ultima fase, si
caratterizza per la riflessione critica dell’esperienza e del sapere
acquisito, e per la sua sistematizzazione entro più ampi sistemi di
conoscenza. Al docente è così richiesto di guidare un processo di
meta-valutazione, valorizzazione, diffusione e condivisione dei
risultati raggiunti, per aiutare gli studenti a riconoscere (e ad
appropriarsene) i progressi raggiunti. Una situazione di questo tipo
implica un’alterazione radicale del tradizionale setting didattico che
richiede un nuovo patto educativo tra scuola, società, famiglie e
studenti. Si assiste a una destrutturazione della relazione educativa
che modifica radicalmente la relazione di potere docente-studente,
all’interno di una classe che appare sempre più “liquida” poiché perde i
consueti confini spazio-temporali.
Da quanto emerge, ad ogni fase
corrisponde uno stile educativo diverso, che potremmo definire
“situazionale”, capace cioè di agire competenze differenti, in ordine al
precipuo obiettivo di apprendimento che ci si trova a governare
mediante l’ausilio delle nuove tecnologie: motivazionale nella fase di
avvio; direttivo nella fase di indagine, supportivo nella fase di
sperimentazione e restitutivo nella fase di sistematizzazione. Per
introdurre le nuove tecnologie nella didattica dunque non è sufficiente
potenziare l’infrastruttura dotazionale o concentrarsi esclusivamente
sulle competenze digitali dei docenti ma bisogna sostenere ancor di più
lo spettro di competenze emergenti che si articolano in tre differenti
macroree: quelle socio-emozionali (comunicazione interpersonale,
leadership educativa, problem solving, problem setting, gestione dei
conflitti, decision making, intelligenza emotiva); quelle comunicative
(media literacy, digital literacy, media competence, communicative
competences) e quelle metodologiche (di analisi, di gestione di processi
complessi, progettuali e valutative). L’innovazione digitale a scuola
non è solo una questione di dotazione tecnologica ma si esprime prima di
tutto mediante un progetto politico e culturale che sia capace di
esprimere quale modello di scuola, e quale profilo professionale, sia
adeguato a rispondere alle sfide della scuole nel XXI secolo. Per
costruire un’idea di scuola adeguata ai tempi è necessario conoscere lo
stato dell’arte attraverso la ricostruzione di usi, fabbisogni di
formazione e pratiche agite nei contesti reali. È la metodologia che
trasforma il contenuto e le sue applicazioni, è l’uso sociale attraverso
cui le tecnologie vengono ‘naturalizzate’ e incorporate nelle nostre
routines professionali e organizzative a determinare processi di
innovazione e cambiamento. Ed è a questo bisogno di comprensione e
innovazione che vuole rispondere la ricerca-intervento[iii]
condotta in convenzione tra l’Università degli Studi Link Campus
University e l’Associazione Nazionale Presidi (ANP), finalizzata a
rilevare pratiche, usi e competenze digitali diffuse nelle istituzioni
scolastiche sia per fornire una visione di sistema utile alla
definizione di ogni intervento di policy in campo educativo, sia per
offrire al management delle istituzioni educative un quadro di
conoscenza utile a definire azioni di micropolitica di istituto, perché
le tecnologie trasformano le nostre aule solo in funzione di come
sappiamo usarle.
[i] Capogna, S. (2014/b). Scuola, Università, E-learning. Una lettura sociologica. Roma: Armando.
[ii] OCSE (2013). Review of the Italian Strategy for Digital Schools.OECD.
[iii] Tutti i docenti di scuola di ogni ordine e grado possono partecipare alla ricerca collegandosi al seguente link: https://it.surveymonkey.com/r/ricerca-competenze-digitali
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