Nell’immaginario collettivo l’atletica leggera – disciplina simbolo
del panorama olimpico al punto da essere comunemente definita “la Regina
dei Giochi” – viene normalmente associata all’immagine dello sprinter, e
il concetto stesso di “fuoriclasse” tende a riferirsi, in primis,
a chi trionfa nella velocità: da Carl Lewis a Linford Christie, da
Jesse Owens a Usain Bolt, passando per Fanny Blanckers-Koen e Florence
Griffith-Joyner.
Eppure l’atletica leggera è una disciplina composta da tante e
diverse specialità – dai lanci ai salti, dal fondo alle prove multiple
–, ciascuna delle quali richiede all’atleta di possedere qualità diverse
(ma non meno importanti) rispetto a quanto richiesto ai velocisti puri.
Per chi si cimenta nella corsa a ostacoli, in particolare, tre sono i
talenti necessari: certamente velocità, perché le gare a ostacoli si svolgono normalmente su distanze brevi, ma anche agilità per superare le barriere e ritmo, indispensabile a non perdere il filo della corsa.
Velocità, agilità e ritmo sono anche le principali caratteristiche
che – stando a quanto emerge dal 3° Rapporto Generazione Proteo,
presentato questa mattina presso l’Auditorium della Link Campus
University, l’Ateneo che, ormai da tre anni, realizza questa ricerca –
devono oggi possedere i giovani italiani: la prima, infatti, consente
loro di tenere il passo rispetto alle esigenze di una società che, sotto
la spinta di vari e diversi agenti sociali (i media in primis)
viaggia a una velocità sconosciuta a qualsiasi altra epoca. La seconda è
strettamente necessaria e funzionale a tale corsa, poiché consente ai
giovani di districarsi tra le numerose barriere – politiche, economiche,
sociali – che si frappongono sul loro cammino. La terza, infine,
rappresenta il perfetto intreccio delle prime due: in ogni corsa a
ostacoli che si rispetti, velocità e agilità rischiano infatti di
risultare vane, per non dire fini a se stesse se gli ostacoli si
superano dopo aver precedentemente indietreggiato al loro cospetto.
Ma chi sono i giovani, oggi? Quali sono le paure e le aspirazioni, i
valori e le abitudini di chi oggi rappresenta la generazione di domani?
Rispondere a questa domanda non è affatto semplice perché, come ebbe ad
affermare Nicola Ferrigni (direttore della ricerca) già in occasione
della presentazione del 1° Rapporto, l’universo giovanile italiano si
caratterizza per il suo essere incredibilmente “proteiforme”, ovvero
«difficile da inquadrare in schemi predefiniti, inafferrabile».
Ciononostante, dalla ricerca emergono alcune significative indicazioni
che, da una parte, confermano quanto già emerso nelle precedenti
edizioni (ed è significativo notare come tale conferma coincida con un
allargamento sensibile del campione, quadruplicato rispetto alla
precedente edizione), dall’altra parte introducono degli interessanti
elementi di novità, segnando così il passaggio da quella generazione di
«talenti e solisti fuoriclasse» emersa dal 2° Rapporto alla generazione
attuale, fatta di «atleti e corridori, quasi inconsapevoli, di una
competizione agonistica quotidiana».
È proprio lungo queste due direttrici che, questa mattina, si è
sviluppata la presentazione del Rapporto: un momento di incontro e di
dialogo tra gli studenti delle scuole secondarie superiori che hanno
partecipato alla ricerca (quella “Generazione Proteo” che dà anche il
nome al relativo osservatorio, attivo presso la Link Campus University) e
le Istituzioni, chiamate oggi più che mai a un rapporto di fattiva
collaborazione con la società civile. In mezzo a loro l’università,
ponte ideale tra la generazione di ieri e quella di domani, nonché
passaggio obbligato, a detta dei giovani intervistati, per acquisire le
competenze necessarie per garantirsi un lavoro stabile, gratificante e
quanto più possibile rispondente alle proprie aspirazioni.
Scuola vs/con le Istituzioni, dunque. Dal primo
ambito, rappresentato dalla professoressa Monica Nanetti, presidente del
Comitato scientifico dell’Osservatorio Generazione Proteo, è venuto un
preciso richiamo affinché il confronto tra scuola e università sia
sempre meno episodico ed occasionale: è infatti necessario che i discorsi sui giovani siano il secondo step di un percorso la cui prima tappa consiste nell’ascolto degli stessi giovani,
e rispetto a tale auspicio è fondamentale il coinvolgimento delle
Istituzioni. Una risposta importante alle suggestioni formulate dalla
prof.ssa Nanetti è venuta dal Sindaco di Roma Ignazio Marino. «I giovani
devono prendersi la vita e seguire con la vita l’evoluzione del proprio
pensiero», ha affermato il Sindaco in apertura del suo intervento,
ricordando come le idee che ci formiamo in gioventù non sempre si
mantengono inalterate nel corso degli anni, bensì crescono, si evolvono,
talvolta mutano in funzione del contesto sociale e culturale in cui si
declina la nostra vita. Nel corso di tale evoluzione, ha concluso il
Sindaco, i giovani non devono tuttavia mai perdere di vista i valori
della passione e del rispetto: valori fondamentali, a suo avviso, per la piena realizzazione di ogni individuo e nel contempo della società.
Gli interventi istituzionali sono stati seguiti da un intenso
confronto, coordinato dalla giornalista Sky Giulia Mizzoni, sui temi dei
valori e della religione, della politica e del lavoro, della sicurezza e
dell’immigrazione, infine dei social media. Tra gli altri interventi,
quelli di Carlo Maria Medaglia («La forza della normalità, della
trasparenza, della serietà contribuisce a rimettere in moto l’energia
che contraddistingue i nostri giovani»), Romano Benini («Oggi il
riferimento, il modello dei giovani è Steve Jobs: è interessante
ricordare che il riferimento di Jobs era Leonardo Da Vinci»), Don Emil
(«Sono i valori che determinano il nostro io»), Arturo Di Corinto («La
sfiducia dei giovani nel futuro è dovuta alla sfiducia degli
amministratori del passato»), Maurizio Zandri («Ai giovani servono
competenza e organizzazione, studio e preparazione per affrontare il
futuro che essi sognano»), Francesco Soro («I social network espongono
al rischio isolamento, ma i rischi devono riconoscerli i ragazzi»),
Marica Spalletta («I media sono nel contempo innovazione tecnologica e
rivoluzione culturale. Per i giovani rappresentano un’opportunità e non
un rischio solo in presenza di un loro uso responsabile»), Pierluigi
Matera («Il mondo è di voi giovani: siate come siete, noi ci
adegueremo»).
Quelli appena richiamati sono, naturalmente, solo alcuni dei tanti e
significativi spunti di riflessione emersi nell’arco di questa
mattinata, e molti di loro ben si prestano a essere ulteriormente
approfonditi. Tuttavia, c’è un passaggio che ci piace richiamare in
conclusione, e che vuole essere anche un auspicio per il futuro.
Riprendendo la metafora sportiva con cui abbiamo iniziato questa nostra
breve sintesi, la storia dello sport ci insegna che normalmente si diventa fuoriclasse quando si gareggia con successo in discipline particolarmente simboliche. Tuttavia, si può diventare fuoriclasse anche
in specialità agonistiche diverse dalla velocità pura: se così non
fosse, nel libro d’oro dell’atletica non figurerebbero i nomi di atleti
quali l’astista Sergei Bubka, il lanciatore Al Oerter o, per l’appunto,
l’ostacolista Edwin Moses.
Tutto questo a patto di avere la possibilità di scoprire prima e
mettere a frutto poi il proprio talento, di «realizzarsi e
autorealizzarsi», come ha rimarcato Ferrigni durante la presentazione.
Perché ciò avvenga, è necessario che i vari e diversi talenti non
vengano seppelliti, nella paura di andare persi, o peggio ancora
indirizzati verso un’omologazione che soffoca le eccellenze. Al
contrario ciò che serve è un investimento – certamente economico, ma
prima ancora sociale e culturale – sulle giovani generazioni, per
comprenderne desideri e aspettative, paure e preoccupazioni. Questo
investimento, ha affermato Vincenzo Scotti, presidente della Link Campus
University nel suo saluto introduttivo, è funzionale e indispensabile a
orientare quelle riforme finalizzate a porre i giovani nelle condizioni
di affrontare le sfide del grande cambiamento che sta avvenendo a
livello globale. «Le riforme sono per le generazioni future, ma bisogna
conoscere queste generazioni prima di avviare il percorso di riforma»,
ha concluso Scotti, rimarcando come il contributo dell’Osservatorio
Generazione Proteo sia tanto più importante poiché esso rappresenta
«un’occasione permanente di discussione sui temi ufficiali».
Appuntamento dunque al prossimo anno, per scoprire se gli ostacoli
saranno venuti meno, oppure se essi si saranno trasformati in siepi
ancor più difficili da valicare.
Nessun commento:
Posta un commento